Capitolo XIV
(trascrizione a
cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
con aversi
retirato in casa del signor Don Antonino Proto, vicino il convento di San
Domenico.
Il campo imperiale situato tra Pozzo di Gotto e
Merì. Il conte di Mercy spesso a pranzo al convento di S. Domenico Tutto il campo
tudesco si congregò dal territorio della città di Puzzo di Gotto sino alla
terra di Mirij, dalla parte della marina. Con tutto che il signor generale
Mercij abitasse nel campo colle truppe, sovente si conferiva nel convento di
San Domenico, ove pranzava col signor generale Zumiungen (come seguì in detto
giorno). E la sera retornava al suo campo.
Giungono in città oltre 200 disertori spagnoli.
Riferiscono i movimenti delle proprie truppe in marcia da Rodì verso
Francavilla e Messina
Desertarono in questa sera più di 200 spagnuoli, con aversi conferito in questa
città. Li quali s’aveano sbadato dal loro campo. Affermarono che le truppe
spagnuole, avendosi partito dal casale di Rodì (ove s’aveano trattenuto per più
giorni), ascesero per le montagne per la parte di Francavilla, distante da questa
città da miglia [segue lacuna nella copia, ndr], per passare
doppo per il piano verso la città di Messina.
Rientro nel centro urbano di molti civili costretti
nella Piana durante l’Assedio. Contadini dei comuni del circondario forniscono
mule alle truppe austriache a prezzi da capogiro, necessarie per affrontare il
viaggio al seguito delle truppe nemiche Liberamente entrarono in città
molt’altri paesani che si aveano retrovato nella Piana. Ed altri che dimorarono
per il tempo dell’abblocco [blocco,
ndr] delli Spagnuoli e loro assedio nelle parti convicine. Con aversi alcuni
principali fatto riconoscere dal signor generale Zumjungen. E pure molti
villani della comarca da più giorni innanzi, come continuarono, aveano disceso
nella città per vendere frutti e molti commestibili. Anzi condussero molte e
molte cavalcature, specialmente mule per venderle, avuta la notizia che dagli
officiali tudeschi venuti con l’armata, come gl’altri che da più tempo aveano
stato di presidio in questa città, si ricercavano con molta ansietà, dovendo
seguire il campo spagnuolo. Anzi dalli medemi non si badava al prezzo.
Promulgazione dell’indulto S’ha promulgato
per tutta questa città l’indulto generale dell’augustissimo imperatore, come
nostro monarca e re, in stampa, così in lingua italiana come spagnuola, tutto
in un foglio. Quale, per appagarsi il lettore specialmente nella clemenza d’un
sovrano benignissimo, si descrive per intiero [nella presente copia del manoscritto tuttavia l’indulto non viene
trascritto, ndr].
Serie di furti notturni ai danni dei residenti nella
Piana
Hanno seguito più e più furti e latrocinj nella Piana, in particolare nella
notte , con aversi derubato tutto quello mobile che in essa s’avea conservato
dalli cittadini di questa. Con togliersi inoltre le porte e fenestre di tutte
le case. E nemeno si puotè procedere ad alcuna lamentazione, nonché aprir la
bocca, o per non aversi notizia del ladro o, conosciuto, non demostrarsi
impertinente.
31 maggio 1719
Spedizione di 2.800 militari austriaci per
costringere Lipari
alla resa, costretti tuttavia a tornare
indietro per le avverse condizioni meteorologiche 31 maggio. Partirono la
notte scorsa 2800 soldati tudeschi (nel quale numero alcuni di cavallo) per
l’Isola di Lipari, con quattro navi inglesi di guerra e molt’altre navi e
tartane, corredate tutte di provisioni di guerra, per farla venire
all’obedienza dell’arme cesaree e cattoliche del nostro Re Carlo. O,
placidamente, tutte le volte che non verrà all’obedienza, o[p]pure a fuoco e
ferro, se oppugnerà con alcun ostacolo. Bensì per il tempo contrario di Ponente
e Maestro fu necessario far retorno tutta sudetta armata nel porto di questa.
Avanzamento verso il centro urbano dell’accampamento
imperiale, collocato tra le contrade Santa Dorotea e Grazia, ossia un poco più in là del campo
spagnolo Tutte le truppe cesaree s’accamparono in questa Piana un puoco più
della parte superiore del luogo ove si aveano prima accampato quelle delli
Spagnuoli, nella contrada nominata di Santa Dorotea, per la parte di Ponente,
sino alla chiesa della Madre di Dio della Grazia, verso Levante.
Prosieguì sino a
questo giorno il disbarco del bagaglio dell’off[icia]li venuti sopra l’armata
con altre provisioni, che per certo furono in quantità considerabile, dovendo esser
sufficienti per tanta moltitudine di soldati nuovamente condotti, oltre quegli
che in questa si ritrovavano.
Le truppe piemontesi attendono d’imbarcarsi alla
volta di Siracusa. Giungono a Milazzo i militari di presidio a Pozzo di Gotto
sin dai tempi del blocco: erano i cosiddetti “residenti”, truppe ormai inutili
e per questo non richiamate in Spagna Tutte le truppe savoiarde e piemontesi,
che dal principio dell’abblocco ed assedio delli Spagnuoli sempre hanno
commorato in questa città di presidio, unitamente con tutti gli loro officiali,
stavano su la partenza per condursi con barche per Siragosa, aspettandosi il
tempo proporzionato.
In questo giorno
comparvero in questa città quasi tutti quegli spagnuoli con il loro capitano
dalla città di Puzzo di Gotto, ove dal principio dell’abblocco delli medemi
Spagnuoli s’aveano trattenuto. Stante che reso tutto il Regno, con aversi
renunciato al Re Vittorio Amedeo Duca di Savoia dal Re di Spagna, tutte le
truppe che presidiavano l’Isola per detto Re di Spagna s’allontanarono con
aversi conferito nella Spagna a servizio del loro Re. Con aver rimasto tutti
quelli soldati li quali non poteano più servire, nomandosi residenti, delli
quali in questa città se ne retrovava una compagnia al numero di sessanta col
detto capitano, christiano di nazione [segue
lacuna nella copia, ndr], prima eretico [segue lacuna nella copia, ndr] e doppo retornato nel grembo della
Santa Romana Chiesa con aversi fatto catolico. Avendo tutti il loro soldo a
conto del sudetto Re di Spagna sopra quelle rendite nel contado di Modica per
esso rimaste, delle quali tenea lo sopraintendente.
I soldati residenti, a causa della mancata
liquidazione delle proprie paghe, si rivolsero nei mesi precedenti al
maresciallo di campo Domenico Lucchese, che venne incontro alle loro pretese a
patto che si trattenessero a Pozzo di Gotto Ma seguito l’abblocco sudetto
non se li somministrò più né il soldo solito, né il pane di monizione giornale,
come prima dagli officiali di Savoia e di Piemonte. Perloché, vedendosi quasi
derelitti, si retirarono nella Piana con aver ricorso al signor tenente
coronello Don Domenico Lucchese, qual allora reggea col dominio quelle truppe
che da principio vennero nella Piana. Ed ottennero dal medemo ed il loro solito
soldo ed il pane di monizione ogni giorno, con ordine espresso che tutti si
trattenessero in detta città di Puzzo di Gotto.
I suddetti residenti, in seguito alla fuga delle
proprie truppe dal campo spagnolo ed in assenza di denaro, si rivolgono al
generale Zumjungen per ottenere un sussidio, che purtroppo viene loro negato,
stante la congiuntura in atto. Costretti di conseguenza a chiedere l’elemosina Onde fuggitosi
tutto sudetto campo spagnuolo li giorni scorsi, come si raccontò, e non avendo
questi residenti più formalità di sostentarsi, ricorsero nella maggior parte
col detto loro capitano christiano al sudetto signor generale Zumjungen,
affinché s’ottenesse alcun sussidio per non perirsi di fame. E tutti ebbero
l’esclusiva, asserendosi dal medemo signor generale non esser tempo nel fervore
della guerra di provvisionarli. Tanto che per essere quasi tutti chi vecchio,
chi zoppo, chi cieco e chi stroppio, e non atti al travaglio, principiarono a
questuar l’elemosina in detta città di Puzzo di Gotto, sbadandosi in molte
parti. Il che recava, nonché un meraviglioso stupore, una lacrimevole
compassione, specialmente a tutti quei che l’aveano conosciuto gli tempi scorsi
dominando nel Regno gli Spagnuoli. E forse che per la loro miseria e per li
gravi patimenti sofferti non abbiano patito di necessità.
1 giugno 1719
Nuovo tentativo di spedizione verso Lipari Primo giugno.
Sedato il vento da Ponente e Maestro, partirono per Lipari in detto giorno su
l’alba quattro galere con altre quattro navi inglesi e diece tartane piene
d’infanteria tudesca, al numero di 2800. E con centoventi cavalli, affinché si
facesse venire all’obedienza di sua cattolica e cesarea maestà con l’arme,
tutte le volte fosse quell’Isola pertinace al rendimento. Tutte sudette truppe
furono guidate sotto il comando del signor barone de Serkendorff, generale
maresciallo tenente e coronello d’un regimento d’infanteria per sua maestà
cesarea cattolica. Conducendosi sopra dett’armata gran quantità di bombe, con
ordine espresso di farsi il sacco alla città tutta se al primo avviso non
s’avesse reso. Bensì nella prima partenza fatta da dett’armata per quell’isola
- e retornata doppo per il vento contrario - s’avea dato altr’ordine più
rigoroso di trucidarsi tutti quei isolani se avessero impugnato l’arme a favore
delli Spagnuoli [e] contro quelle della maestà di Carlo Terzo imperatore. Ma
tal’ordine, per bontà del signor generale comandante, fu reformato come si
descrisse.
Cannonate nell’isola di Lipari fanno ipotizzare un
intervento armato della popolazione La sera s’intesero disparare molte
cannonate nella città di Lipari. Perloché si credette che avessero impugnato
l’arme per defendersi. Alcuni, però, più intendenti attestavano che non fosse
veridica la credenza di voler pugnare quei isolani, ma che il fuoco delli
cannoni avesse seguito d’ordine di quel comandante a devozione del Re di
Spagna. Onde ogn’uno la discorrea siccome li dettava il suo proprio
intendimento ed inchinazione.
Provvedimenti urgenti in materia sanitaria e
cimiteriale, scaturiti a seguito di emergenze igienico-sanitarie. Si
seppellivano infatti i cadaveri in fosse poco profonde al Borgo (in prossimità
delle chiese di S. Rocco e dell’Immacolata), a Vaccarella e, tra l’altro, alla
base della cittadella fortificata, con seri inconvenienti: spesso le salme
riaffioravano dal terreno, scoperchiate da cani e maiali. Si provvede pertanto
a seppellire per il futuro le salme al di fuori della mura urbiche con fosse di
gran lunga più profonde. Ampliate anche quelle fosse che già ospitavano cadaveri
all’interno delle stesse mura urbiche S’attese con ogni speciale attenzione
dalli signori generali tudeschi, assistendo il signor Protomedico generale di
tutte le truppe cesaree, che s’avesse riguardo per non infestarsi l’aria. Non
tanto per la molta quantità d’ammalati, che allora si ritrovavano, come per
aversi sepellito tanti e tanti cadaveri pure dentro la città in alcuni luoghi
deputati, senza la circospezione dovuta. Perloché per evitarsi l’infectione,
della quale molto si temea, si retirarono tutti gl’infermi in parti spatiosi
nel convento del Carmine ed in quello di San Francesco di Paola ed altre,
togliendosi d’alcune case anguste nelle quali stavano affollati l’ammalati, con
apparente segno di corrompersi l’aria. Ed inoltre si fece espresso ordine che
in avvenire non si dovessero sepellire più cadaveri dentro la città come pria,
cossì vicino le chiese di San Rocco, San Leonardo della Concettione, sopra il
Monte, e sotto le mura della Cittadella; e nelle strade di Vaccarella e del
Giardinello ed altre. Da quelle si sepellissero in campagna, o nel Purracchito
o fuori la porta del Capo, con farsi profonde fosse. Con aversi per tal causa
deputati alcuni soldati con zappe. Anzi, per tutti quei cadaveri che erano
stati sepolti nel terreno e nella superficie di esso, si fecero le fosse più
profonde per evitarsi alcun contaggio. Ed invero s’avea processo nel sepellirsi
gli cadaveri con molta poca attenzione per il passato, mentre facilmente si
discuoprivano o in tutto o in parte li cadaveri, specialmente ove solevano
intervenire animali porcini o altri consimili, dalli quali si discoprivano. E
successe più volte che, concorrendo in detti luoghi gli cani, si pascevano
delli corpi morti, oltre che era così intolerabile il fetore delli cadaveri che
si discuprivano, che non si potea soffrire. Almeno si diede alcun metodo sopra
il sepellirsi gli cadaveri e manutenimento delli poveri infermi. Non passando
giorno che non morissero almeno trenta in quaranta, ma doppo si scemò tal
quantità in altra più picciola. La diligenza del nomato signor Stefano Jerger,
tudesco Protomedico, fu molto esemplare. Ed attese con ogni vigilanza.
2 giugno 1719
Prigionieri spagnoli vengono imbarcati per essere
trasferiti a Napoli. Le truppe piemontesi coi loro ufficiali preparano l’imbarco
per Siracusa 2
giugno. In questo giorno al tardi s’imbarcarono sopra alcune tartane tutti quei
spagnuoli li quali aveano rimasto sequestrati come prigionieri di guerra per
condursi in Napoli.
Principiarono
tutte le truppe savoiarde e piemontesi cogli loro officiali a farsi imbarcare
sopra alcune tartane a ciò deputate tutto il loro bagaglio per passare in
Siragosa.
3 giugno 1719
Giacomo Fusari Grimaldi osteggiato a Capo d’Orlando
e ben accolto a Patti A 3 giugno. Don Giacomo Fusari e Grimaldi - inviato
serio dal signor ambasciadore cesareo da Roma al signor generale Zumjungen dal
mese di gennaro - il quale s’avea conferito in Patti con li giurati di essa
città con ampla [ampia, ndr] patente
per la promulgazione dell’indulto generale per tutta quella Comarca (siccome
s’ha espressato), retornò da quella città. Riferì aversi condotto sino allo
scaro di Capo d’Orlando, miglia cinquanta da questa città, e che non puotè far
disbarco in quello scaro per aversi ritrovato in quella Marina e parti
convicine tutte le milizie del paese in arme a favore del Re di Spagna. Anzi,
li furono disparate più cannonate dal forte del detto scaro. Peronde fu
costretto retornarsene, avendo avuto gli marinari che lo conducevano colla
barca di trasportarlo passata la Marina sudetta [periodo di oscura comprensione, a causa probabilmente di qualche parola
saltata durante la trascrizione dal manoscritto originale, ndr]. Affermando
inoltre che solamente Patti colla terra di Gioiosa, qual esiste da miglia sei
di sopra detta città di Patti, si resero all’obedienza di sua Cesarea e
Cattolica Maestà. E data la sudetta relazione al signor generale Zumjungen, la
medema sera partì sopra una palanca con trenta soldati tudeschi granatieri per
conferirsi per la marina sudetta di Capo d’Orlando. E più innanzi per la
promulgazione del sudetto indulto.
Il generale conte di Mercy nel campo imperiale nella
Piana. Notizie poco attendibili da Messina Tutto il campo tudesco delle
truppe, le quali ultimamente aveano venute da Napoli e Tropea, così
d’infanteria come di cavalleria, si retrova nella Piana di questa assieme col
signor generale Mercij. Bensì questi ogni giorno si conferiva in città,
discorrendo gli affari necessarij per la guerra. E si attendea l’esito
dell’isola di Lipari per determinarsi il maggior servizio della maestà del Re
Carlo collo trasporto delle truppe.
Si propalò che
li Spagnuoli avessero atteso guagliardamente a fortificare lo scaro e torre del
Faro di Messina. Con altre dicerie, [al]le quali, per essere seguite in parte
lontana, non si puotè attribuirsi a darsi la credenza.
Rientro in città dei civili rifugiatisi al Capo per il timore delle cannonate e delle
bombe. Alcuni notabili impossibilitati a rientrare nelle
proprie abitazioni in quanto distrutte o occupate da ufficiali e soldati
austriaci Quei paesani che si ritrovavano nel Capo da molto tempo innanzi,
retirati per il timore delle palle di cannoni e delle bombe, s’andavano
retirando in città. Solamente rimasti alcuni, cossì de’ principali come
cittadini, per non aver ritrovato luogo né abitazione per albergare, per
esserli a molti dirupate le case ed ad altri prese per commorare diversi
officiali e soldati tudeschi. Anzi, avendo partito molti e molti comandanti ed
officiali e per la città di Messina ed in altre parti, nemeno lasciarono le
case che prima teneano per la loro abitazione per aver ripostato in esse il
loro bagaglio. E in molte o le loro mogli o amiche. Perloché era grandissima la
confusione. E[p]pure era vuopo soggiacere, senza potersi asserire la necessità
urgentissima che soffrivano gli cittadini. Benché sovente in ogni giorno
avessero continuato gli abitatori di questa, li quali si ritrovavano nella
Piana e terre convicine, a retirarsi, nondimeno alcuni non puoterono ciò
effettuare per non aver luogo ove abitare, tanto che furono forzati
retornarsene con molto loro cordoglio.
4 giugno 1719
Le truppe piemontesi (600 unità) abbandonano la
cittadella fortificata e s’imbarcano per Siracusa 4 giugno. Discesero dalla Cittadella, ove
commoravano, squadronate, tutte le truppe di Piemonte e di Savoia cogli loro
officiali. Con aversi imbarcato sopra molte tartane per condursi in Siragosa,
nella quale città si retrovava il signor conte Maffei, viceré per la maestà di
Vittorio Amedeo in questo Regno. Con tutto che non s’avesse cessato sino per
tutta la notte di portarsi le loro robbe e provisioni di viveri in molta e
copiosa quantità, consistenti in più centinara di sacchi di farine ed
altrettanti di formenti, ogli, tonnine, sarde, carni salate, vini ed altri. Per
certo che dette provisioni e bagaglio fu[rono] quasi inestimabile, dovendosi
presupponere che si tenea in questa città tutto il bagaglio di molti migliara
di officiali e soldati della detta nazione dal principio che incominciarono a
dominare il Regno. E nella partenza non eccedettero il numero di quattrocento,
tolti altri duecento soldati infermi, li quali unitamente s’imbarcarono. E si
riconoscette che tutti di mal genio e discontenti si partirono dalla città. E
molti, volendo dissimulare, con un riso sardonico demostrarono partirsi
giolivi, ma nell’interno si rammaricavano. Anzi, alcun’altri publicamente
mormoravano gli paesani, con darli molte imprecazioni senza ragione. Ma quei
che la discorrevano saggiamente si partirono con tutta quella soddisfazione che
se li dovea, avendosi complito dalli cittadini secondo il loro merito.
I militari
spagnoli infermi trasferiti da contrada S. Marina all’ospedale allestito nella
chiesa dell’Immacolata al Borgo Ad ora di Vespro furono trasportati dal
casale di Santa Marina tutti quelli soldati spagnuoli remasti infermi, allorché
il loro campo si partì furtivamente dalla Piana. Con aversi condotto in questa
città sopra alcuni carri tirati da bovi, ad uno ad uno, per curarsi. Ed altri
con altra providenza di cavalcature. Con aversi rimesso nell’ospidale nella
chiesa dell’Immacolata Concettione di Nostra Signora Maria sopra il Monte, nel
quale s’attese con ogni equità, carità ed attenzione conveniente affinché
fossero guariti. Con aversi speciale cura più di quella che si somministrava
agli soldati nazionali.
Notizie sulle
imbarcazioni in partenza da Milazzo e sul campo austriaco Pure in detto
giorno partirono per Calabria molte tartane, essendo di retorno. Ed altre fecero
il viaggio per il Faro di Messina.
Il
campo tudesco sin a detto giorno persistette nella Piana con tutti gli loro
officiali, con tutto che questi giornalmente avessero venuto in città,
specialmente il signor generale Marcij per discorrere col signor generale
Zumjungen. E da questo si passava in detto campo.
Oltre venti
militari spagnoli disertano durante il trasferimento delle truppe verso
Francavilla. Trasportati a Milazzo 33 militari austriaci feritisi durante
l’attacco a Lipari
Vennero ventitre desertori spagnuoli in città per aversene fuggito per il
camino, allorché il loro campo prese la strada per le montagne.
Furono
condotti con barca inviata seria dall’isola di Lipari trentatre soldati
tudeschi granatieri feriti per curarsi. Stante che nel disbarco che si fece
dalle truppe inviate per quell’isola, per renderla al vassallaggio di Sua
Cesarea e Cattolica Maestà, si fece oppugnazione e dalli soldati spagnuoli che
presidiavano la città e dalli paesani coll’arme, tanto che li suddetti
restarono feriti gravemente ed altri furono uccisi. Oltre quei, li quali pure
conseguirono ferite, ma per essere di puoca considerazione restarono
coll’armata. Ed in detto giorno si stava con molt’anzietà per sapersi la
riuscita dell’assalto fatto a quell’isola e come successe la resa con ogni
distinzione.
Accurata
descrizione dell’attacco di Lipari da parte delle truppe austriache La medema sera
venne un dispaccio con barca seria alli signori generali tudeschi [di] come
Lipari s’abbia reso all’obedienza dell’arme cesaree. Poiché, avendo andato
parte dell’armata in detta isola (come si descrisse), primariamente s’inviò in
città persona deputata per sentire se si volea attendere a devenirsi al
rendimento. Che altrimenti s’avrebbe processo con arme ostili a superarla. Ma,
recalcitrando quel presidio spagnuolo con molti paesani, con quello associati,
con l’asserzione esser vassalli del Re di Spagna. D’ordine del signor
comandante, a tal effetto rimesso, si fecero descendere tutte le truppe
tudesche, con attendersi al disbarco nella contrata nomata il Cannitello. E
volendo salire le colline esse truppe, molt’ostacolo li fu fatto, tanto che
molti soldati tudeschi restarono morti ed altri feriti. E nel medemo tempo si
diede principio a battere la città con più palle di cannoni e con mortai di
bombe dalle navi, tartane e galere poste tutte vicino la detta città. Bensì
solamente in essa città non si gettarono più di cinque bombe, una nel Borgo,
una un puoco più lontano, una vicino le mura della città e l’altre due dentro
di essa. Peronde, intimorito il presidio spagnuolo e tutti gli cittadini,
tentarono rendersi con aver inviato al signor comandante tudesco [un] inviato. E
con tutto che avesse uscito tutto il clero col Vicario Generale in forma di
processione con le loro vesti sacerdotali, nondimeno non si puotè evitare che
nel Borgo non si facesse il sacco da più soldati. Anzi, pretendendosi farsi il
consimile dentro la città, ciò non s’eseguì, poiché processe (come si disse) lo
sborzo di qualche somma, avendosi fatto contribuzione da quei abitatori di
duemila doble d’oro. Con tutto che s’avesse promulgato d’altri essere di
cinquemila.
5 giugno 1719
Tre disertori
spagnoli riferiscono che duemila unità di cavalleria si trovano a Montalbano
per essere eventualmente destinate a Francavilla 5 giugno. Comparirono
in questo giorno tre desertori spagnuoli, soldati di cavallo, con aversene
fuggito dalla terra di Montalbano, da miglia trenta lungi di questa città.
Asserirono retrovarsi presso detta terra duemila soldati di cavallo spagnuoli,
li quali servono di scorta di tutto il loro esercito, che s’avea retirato nella
terra di Francavilla.
A bordo di una
delle diverse imbarcazioni napoletane e calabresi giunte alle Eolie per
saccheggiare Lipari restò gravemente ferito un marinaio proveniente da Bagnara,
amputato sia nell’isola che all’ospedale di Milazzo, ove venne condotto successivamente Avendo andato l’armata
in Lipari per sottometterla all’arme cesaree a fuoco e sangue tutte le volte
che non avesse venuto all’obedienza senza contradizione alcuna. Pure concorsero
molte felughe e barche così di Napoli, come di Calabria: adescati di far ancor
essi il bottino e provecciarsi col rubbare. Anzi, seguendo il sacco, far compra
della robba furata [rubata, ndr] di
baratto. Ma ad alcuni non riuscette molto cara la loro ingordigia. Poiché in
una di dette barche della terra della Bagnara, attendendosi a provedere in
alcun mobile da molti marinari in quella marina, mischiandosi nel conflitto. Et
occorse che, disparatosi un cannone dalla città, diede la palla in una tartana
contigua alla sudetta barca. E fracassandosi parte della tartana, con un legno
restò ferito un marinaro della sudetta barca, con averli tolto la mano destra
sino al gomito del braccio. Come pure con averli rotto tutti li dita dell’altra
mano sinistra. E benché fosse stato il poveretto - dal chirurgo che si
ritrovava sopra l’armata - medicato, non si tagliò il braccio colla proporzione
conveniente. Perloché, in questo giorno, fu condotto in questa città. Ed
osservato dal chirurgo maggiore nell’ospidale, attestò questi esser necessario
per guarirsi che di nuovo si facesse altro taglio in detto braccio, in luogo
conveniente. Altrimenti non solo resterebbe con dolori eccessivi per sempre,
pure con evidente pericolo di perder la vita.
6 giugno 1719
Difficoltà
incontrate dal Fusari Grimaldi per la fedeltà manifestata alla corona di Spagna
da diverse città dislocate lungo la costa settentrionale della Sicilia,
precisamente da Capo d’Orlando a Palermo 6 giugno. Retornò Don Giacomo Fusari e
Grimaldi, qual avea partito da questa - sotto li 3 del sudetto mese - con la
galeotta o palanza e granatieri per la promulgazione dell’indulto a nome
dell’augustissimo imperatore, per quelle parti verso Ponente, nelle terre
convincine allo scaro di Capo d’Orlando. Riferì questi essere stato sino al detto
scaro colla detta galeotta guernita con li detti trenta soldati granatieri e
non aver possuto far alcun disbarco per tutta quella Marina, stante che si
ritrovava tutta piena con molte guardie di tutta la milizia del Regno, radunata
tanto in detto scaro, come in tutte l’altre parti convicine sino alla città di
Cefalù. E da quella sino alla città di Termini. Numerandosi dal detto scaro
sino alla prima città miglia cinquanta e da questa all’altra altre miglia
cinquanta. Oltre da Termini sino a Palermo pure si ritrovavano altre truppe del
Regno, tutte alla devozione del Re di Spagna. Onde, essendoli intercettato il
disbarco, fu forzato esso di Fusari retrocedere sino alla città di Patti, ove
s’abboccò con quei giurati. E ciò inteso dal generale signor Zumjungen, dal
medemo il Fusari ebbe altre commissioni secrete. E l’istessa sera si partì con
detta peotta e granatieri per l’istesse parti, dovendo passare innanzi secondo
le contingenze. E di più ebbe altre commissioni secrete dal signor generale
Mercij, con ampla patente per tutto il Regno.
Tornano a
Milazzo le truppe imperiali destinate alla spedizione di Lipari, ove trovò la
morte un tenente colonnello cugino del generale Wallis, seppellito nella chiesa
di S. Francesco di Paola. Ulteriori dettagli sui fatti d’arme di Lipari, che
costarono la vita ad alcuni civili Retornarono da Lipari le navi inglesi e
le galere con altre quattro galere di Sicilia e tutte le tartane piene di
quelle truppe tudesche che ivi s’aveano conferito per sorprendere quell’isola a
forza d’arme, tutte le volte che non avesse venuto placidamente all’obedienza
dell’arme cesaree. Perloché si verificò la resa di quell’Isola col sacco fatto
nel Borgo. E la contribuzione delle duemila doble per non farsi il bottino
nella città. Poiché la resa fu a descrizione del signor comandante tudesco. E
si disse che il numero dell’uccisi e feriti nel conflitto nella città di Lipari
fu di cento e tre. E di più restò morto un tenente coronello tudesco coggino
del signor generale Vallais, nominato il conte Vallais. E condotto in questa
città si sepellì nella chiesa di San Francesco di Paula. Restò ferito nella
testa con una palla. E si construsse una bellissima lapide marmorea affissa nel
muro dietro la porta maggiore. Pure furono trasportati prigionieri tutti quei
soldati spagnuoli, li quali si ritrovavano di presidio in quella isola al
numero di cento e quattro col comandante, qual era un tenente coronello. Con
essere stati sequestrati tutti nel Regio Castello d’ordine del signor generale
tudesco. Con aversi lasciato di presidio in quell’isola cinquecento soldati
tudeschi col comandante, qual fu il signor capitano Cane del reggimento di
Paraith.
Riferirono
gli tudeschi e napoletani - li quali furono nella città di Lipari in tempo che
seguì la resa di essa - aver rimasto (nel conflitto seguito in tempo che le
truppe tudesche fecero il disbarco e pretesero ascendere per le montagne)
uccisi alcuni paesani con palle di schioppi disparati da dette truppe. Tanto
che l’altri se ne fuggirono per non aver possuto resistere alla moltitudine di
tanti soldati, li quali si governavano con ogni disciplina militare.
Gugliemo Colonna
nominato commissario generale Il signor Don Guglielmo Colonna, per li
servizij fatti a favore della Cesarea e Cattolica Maestà, conseguì dal signor
generale Mercij ampla patente di commissario generale per tutto il Regno. Ed in
effetto partì per la città del Castro Reale per commissioni speciali avute dal
suddetto signor generale Mercij, comandante.
7 giugno 1719
A
7 giugno le galere fecero partenza da questo porto, conducendosi per il Faro
della città di Messina.
8 giugno 1719
Gli austriaci
ancora presenti in città si accampano a S. Giovanni A 8 giugno
tutte le truppe tudesche, le quali si retrovavano in questa città, partirono
regolatamente squadronate, conferendosi nella Piana. Con aver formato il loro
campo fori della città, nella contrata di San Giovanni, dalla parte di sopra
vicino le trinciere. [Trincee] che pria teneano gli Spagnuoli sotto il governo
del signor conte [marchese, ndr] di Lede. Avendo solamente rimasto in città per
comandante il signor coronello Frustersinbuir, con il suo regimento al numero
di 1.500 soldati per lo presidio e guarnizione di essa città. Ritrovandosi pure
altri cinquecento soldati infermi.
Si festeggia il
Corpus Domini: salva reale anche delle navi britanniche malgrado non
imbarcassero equipaggi cattolici Si fece in questo giorno la sollenne
festività del Corpus Domini nella Matrice, con l’assistenza di tutto il clero.
Disparandosi tutte l’artigliarie e mortaretti d’ordine del signor coronello
comandante in città. Anzi, il medemo la sera precedente volea assistere al Vespro,
unitamente colli spettabili signori giurati chiamati per farsi la funzione. Ma
fu dissuaso da questi per non puotersi avere la musica, ritrovandosi gli
cantanti e sonatori fori della città per non aversi retirato, essendo pure il
maestro di cappella nel territorio con altri musici.
Pure
a mezzogiorno tutta l’armata navale, qual era approdata nel Porto, fece una
sollennissima salva reale, col disparo di tutti gli cannoni per celebrare una
così grande festività del Santissimo Sacramento. E le navi inglesi pure fecero
la loro salva reale, con tutto che fossero tutti l’Inglesi eretici.
Sacerdoti di
Lipari sbarcano a Milazzo per recuperare oggetti sacri delle proprie chiese saccheggiati
dalle truppe ed acquistati in parte da qualche milazzese Con una feluca
si trasferì in questa città, venuto dell’isola di Lipari, il reverendo Don
Francesco Canale, paroco di quella, con altri sacerdoti, per puoter recuperare
porzione di quel mobile e robba presi dalle truppe tudesche - specialmente
superlettili, vesti, libri, vasi ed altro mobile consacrato - dalle chiese nel
Borgo di quella città, allorché si fece il bottino. Ricomprandola da questi
paesani, li quali si publicò averne comprato da detti soldati di baratto. E
benché s’avesse recuperato qualche mobile, nondimeno, fatta ogni esatta
diligenza, non si puotè alcanzare [conseguire,
ndr] altro, stante che, nel tempo che seguì il sacco dalli soldati in quella
città, pure si ritrovavano molti napoletani e calabresi con le loro barche e
felughe, conferitisi per far guadagno con bottino. Oltre che della medema
nazione esisteano molte e molte tartane, le quali condussero la maggior parte
di dette truppe. Ed oltre quello che da essi fu saccheggiato e rubbato, si fece
compra del meglior mobile che si prese. Ed il peggio fu che non si puotè
recuperare cos’alcuna, quando peraltro tutto quello che s’avea comprato in
questa città dagli paesani si restituì per il medemo prezzo da essi sborzato.
Magiormente che molto si discorse se detta robba si puotea comprare. Come pure
se il baratto meno dell’infimo prezzo, giusta la disposizione dagli canonisti
determinata. Almeno colla restituzione, ricevuto il prezzo, ogn’uno di questi
abitatori restò saldo in coscienza.
Inoltre
[manca il soggetto, ossia i giurati di
Lipari, ndr] fecero passaggio da detta città di Lipari in questa, sopra una
feluga, solo per rendersi al vassallaggio della Cesarea e Catolica Maestà e
darsi alla devozione d’un così gran monarca. Con demostrare la loro fedeltà al
signor generale Mercij, comandante, dal quale si ricevettero questi dovuti
ossequij, con ogni sodisfazione di detti giurati, li quali restarono molto
consolati per l’umanissimo procedere d’un comandante tanto benigno.
9 giugno 1719
Imbarcati verso
Napoli e la Calabria i militari spagnoli catturati a Lipari 9 giugno. Molte
tartane e barche di trasporto da Napoli e di Calabria, le quali aveano venuto
coll’armata tudesca, in questo giorno si partirono da questo Porto,
instradandosi per li loro paesi. Nelle quali pure furono imbarcati tutti quegli
soldati spagnuoli che furono fatti prigionieri, allorché seguì la resa della
città di Lipari, ove si ritrovavano di presidio.
Giungono dalla
Calabria via mare le unità del reggimento di cavalleria Roma Inoltre
approdarono in questo Porto, venute da Calabria, molte tartane cariche del
restante della cavalleria del regimento del signor generale Roma, la quale non
s’avea condotto prima per mancanza d’imbarcazione.
10 giugno 1719
Le truppe di
cavalleria - 1.200 unità - del reggimento Roma sbarcano alla Tonnara di Milazzo.
Il generale Zumjungen continua a soggiornare nel convento di S. Domenico 10 giugno. In
questo giorno si principiò a farsi il disbarco di detta cavalleria nella ripa
del Porto, bensì fuori la città, vicino la Tonnara nomata di Milazzo. E li
cavalli furono al numero di milleduecento, li quali s’accamparono in testa del
campo fatto dalle truppe venute con l’armata navale da Napoli e Calabria.
Continuava
il signor generale Zumjungen a trattenersi con tutto il suo equipaggio nel
convento di San Domenico, ove da principio avea commorato.
11 giugno 1719
Sbarcano alla
Tonnara di Milazzo altre truppe di fanteria e di cavalleria A 11 giugno
molte e molte tartane approdarono in questo Porto venute da Calabria, cariche
di molte truppe di fanteria tudesca. Con aver fatto il disbarco nella ripa
della Tonnara di Milazzo, fuori della città. Con aversi accampato con l’altre
truppe.
La
notte trascorsa vennero altri 400 cavalli condotti sopra molte barche da
Calabria. Ed in questo giorno si fece il disbarco nella detta ripa della Tonnara,
con aversi accampato in detto lido un puoco distante dall’altri.
12 giugno 1719
Il duca di
Saponara ottiene un falso documento dal generale Mercy per conseguire nella
Messina spagnola la revoca sia della confisca dei propri beni che dell’arresto
di sua moglie
12 giugno. Sino a detto giorno il Duca di Saponara esistea in questa città con
aversi fatto fare li giorni scorsi - a 10 di detto mese - una carta dal signor
generale Mercij, che fosse stato arrestato d’alcune truppe tudesche e che per
servizio imperiale restò sequestrato in questa città. Volse il sudetto
quest’attestazione per aver avuto la notizia che nella città di Messina li
furono incorporati [confiscati, ndr]
tutti li suoi effetti, con lo pretesto che s’avesse reso all’obedienza
dell’arme cesaree. Quando peraltro come messinese dovea seguire il vassallaggio
di Filippo Re di Spagna, siccome tutti di quella città manutenevano. E così
come rubello, oltre la confiscazione delli suoi beni, pure li fu arrestata la
signora duchessa sua moglie. Onde il sudetto signor Di Giovanni fece trasuntare
[duplicare, ndr] in publica forma la
carta firmata dal detto signor generale Mercij per inviarla in Messina,
affinché apparesse che il suo trattenimento in questa città fosse stato non
volontario, ma per essere stato arrestato con violenza dalli soldati tudeschi
sino dentro la medema terra di Saponara.
13 giugno 1719
Sbarcano dalla
Calabria 400 muli
13 giugno. Furono condotte con alcune tartane da Cosenza ed altre parti della
Calabria in questa città quattrocento mule di carico. Ed infatti principiarono
in questo giorno a farsi trasporto con dette mule di molti viveri e provisioni
di guerra dalla città al campo tudesco.
Stima delle
truppe imperiali di cavalleria e fanteria Da molti si disse che tutta la
cavalleria, col regimento d’Usseri, che si ritrovava nel campo fosse stata al
numero di 5.500. E la fanteria al numero di 25.000. Con aversi condotto da
questa città al campo sudetto quasi tutto il bagaglio così degli officiali,
come di tutte le truppe tudesche.
14 giugno 1719
Quasi tutta la
cavalleria imperiale impegnata a caricare sacchi di farina nel centro urbano al
fine di condurli al proprio accampamento in vista del viaggio verso Francavilla 14 giugno. Tutta
la cavalleria ritrovata nel campo in questa Piana, tolta quella degli Usseri,
venne in città, conducendo ogni cavallo un sacco di farina in detto campo.
Dovendo fra breve far la partenza in traccia degli Spagnuoli, li quali s’aveano
retirato nella terra di Francavilla. Con tutto che non s’abbia saputo per
certificato, ma per quello che si potea considerare. Poiché sopra questa
partenza si stava con ogni accuratezza, affine di non penetrarsi dagli
Spagnuoli. Magiormente che alcuni palesavano che tutto detto esercito prendesse
il camino per la Marina o per altra parte seguisse la marcia. Infine non si
penetrava distintamente per dove dovesse incaminarsi, con tutto che si sapesse
dover seguire la partenza. Tanto più che il signor generale Zumjungen fece
togliere dal convento di San Domenico (ove sino a questo giorno avea commorato)
tutto il suo bagaglio e l’equipaggio, conducendolo al campo.
Bando del viceré
marchese di Lede scoraggia le diserzioni, malgrado continuassero anche a metà
giugno
Di continuo non passava giorno che non avessero venuto in questa città molti e
molti desertori spagnuoli, così di cavallo come fanti. Li quali riferivano che
a ciurme altri se ne avrebbero fuggito se non fosse stato per il grave spavento
che teneano. Poiché il signor marchese di Lede, viceré per parte di Spagna,
promulgò che avrebbe donato una dobla d’oro alli paesani tutte le volte che
prendessero alcun desertore soldato, conducendolo al suo campo. Tanto che molti
catturati furono impiccati: in un giorno solo venticinque conseguirono questo
patibolo per aver tentato la fuga ed avere stato trattenuti dalli paesani. Con
aver conseguito questi la paga della dobla d’oro per ognuno di essi soldati.